Si giocò i denti.
Un giorno, a San Francisco, glieli spaccò un pusher incazzato.
Ogni giorno si giocò la salute: troppo alcool, troppe droghe.
Ogni giorno, sapendo che altrimenti non avrebbe senso, si giocò la vita.
Si avvicina ciondolando al microfono.
Lascia oscillare i lunghi capelli biondi che lava raramente.
Lascia passare otto interminabili battute, e solo allora attacca.
Sa che la materia prima della musica è il silenzio.
Sa che la prima nota avrà un’intensità altrimenti irraggiungibile.
Fuma anche sul palco.
Pompa dentro la Martin Committee nascosto da una nuvola di sigarette senza filtro.
Non assomiglia a Chet Baker.
È proprio lui.
Stava per giocarsi anche la sua tromba.
L’ha dimenticata al terzo piano del Prins Hendrik, da cui l’hanno appena cacciato perché è troppo ubriaco.
Non vuol passare dalla reception, e per recuperarla si è messo a scalare la fottuta facciata dell’hotel.
È un alpinista stonato.
Mette un piede in fallo, e cade nel vuoto.
È il 13 maggio del 1988.
Con lui, su Amsterdam e sul mondo, cadono la musica e il silenzio.
E. Baroncelli da “Falene” (Sellerio, 2012)